Anche se Agostino non lo dice chiaramente, sembra proprio che la setta dei Manichei stesse diventando una società di mutuo soccorso, per i suoi adepti; una specie di massoneria (o di P2) aderendo alla quale la carriera ne traeva sicuro giovamento. E certamente anche lui ne ha tratto vantaggio; forse inconsapevolmente, come molti personaggi politici di nostra conoscenza (stando almeno a quanto sostengono). La sua andata a Roma fu infatti favorita dai manichei, presso uno di loro trovò alloggio nella capitale, furono ancora loro a brigare perché, deluso e ingannato dagli scolari romani, potesse ottenere la cattedra di retorica a Milano.
Ma andiamo per ordine. La sua decisione di trasferirsi a Roma fu determinata da un motivo molto concreto: l'indisciplina degli studenti cartaginesi. “Fu per la tua azione, Signore, verso di me che mi lasciai indurre a raggiungere Roma e ad insegnare piuttosto là ciò che insegnavo a Cartagine. Non tralascerò di confessarti ciò che mi indusse a tanto: a raggiungere Roma non fui spinto dalle promesse di più alti guadagni e di un più alto rango, sebbene anche questi miraggi allora attirassero il mio spirito. La ragione prima e quasi l'unica fu un'altra. Sentivo dire che laggiù i giovani studenti erano più quieti e disciplinati. A Cartagine infatti l'eccessiva libertà degli scolari è indecorosa e sregolata. Irrompono sfacciatamente nelle aule e come furie sconvolgono l'ordine instaurato da ogni maestro fra i discepoli per il loro profitto: commettono un buon numero di ribalderie incredibilmente sciocche, che la legge dovrebbe punire se non avessero il patrocinio della tradizione. Io, che da studente non avevo mai voluto contrarre simili abitudini, da maestro ero costretto a tollerarle negli altri" (Conf. V, 8.14). Se qualcuno dei lettori ha vissuto nell'ambiente delle scuole superiori gli anni settanta, comprende bene lo stato d'animo e lo sconforto del giovane professore cartaginese. Egli però vede anche in questo la mano misericordiosa di Dio. ”In realtà eri Tu, mia speranza e mia eredità, che per indurmi a un trasloco utile alla mia anima, accostavi a Cartagine il pungolo che me ne staccasse, e presentavi le lusinghe di Roma perché mi attraessero" (Conf. V, 8.14).
Ma per andare a Roma Agostino doveva staccarsi da sua madre Monica, che lo aveva seguito a Cartagine. E Monica, non sapendo che la mano di Dio conduce misteriosamente quel figlio verso la sua fede, non vuol rassegnarsi a lasciarlo partire. Agostino allora commette verso sua madre un'azione che, dopo tanti anni, mentre scrive questi suoi ricordi, brucerà ancora nella sua coscienza tanto da doversi affannare per trovare delle attenuanti. “Le ragioni per cui lasciavo un luogo e ne raggiungevo un altro tu le conoscevi, o Dio, anche se non le indicavi né a me né a mia madre, che pianse atrocemente per la mia partenza. Mi seguì fino al mare; quando mi strinse violentemente, nella speranza di dissuadermi dal viaggio o di proseguire con me, la ingannai fingendo di non voler lasciare solo un amico che attendeva il sorgere del vento per salpare. Mentii a mia madre, a quella madre, eppure scampai, perché la tua misericordia mi perdonò anche questa colpa, mi salvò dalle acque del mare malgrado le orrende brutture di cui traboccavo, per condurmi all'acqua della tua grazia, le cui abluzioni avrebbero asciugato i fiumi delle lacrime di cui gli occhi di mia madre volti a te rigavano per me quotidianamente la terra. Però si rifiutò di tornare indietro senza di me, e faticai a persuaderla di passare la notte nell'interno di una chiesetta dedicata a San Cipriano, che sorgeva vicinissima alla nostra nave. Quella notte stessa io partivo clandestinamente, mentre essa rimaneva a pregare e a piangere. E che cosa ti chiedeva, Dio mio, con tante lacrime, se non d'impedire la mia navigazione? Tu però, nella profondità dei tuoi disegni, esaudisti il punto vitale del suo desiderio, senza curarti dell'oggetto momentaneo della sua richiesta, ma facendo di me ciò che sempre ti chiedeva di fare" (Conf. V, 8.15).
Poco prima dell'alba, spirò il vento favorevole e gonfiò le vele. Al mattino, in piedi sulla tolda, Agostino contempla la riva africana che lentamente scompare al suo sguardo. Ma il suo cuore è pesante: continuano a risuonarvi i lamenti e i gemiti di sua madre. Col senno di poi tenterà di giustificarsi scrivendo che forse il Signore la castigava per il suo attaccamento troppo carnale a questo figlio. “Amava la mia presenza al suo fianco come tutte le madri, ma molto più di molte madri, e non immaginava quante gioie invece le avresti procurato con la mia assenza" (Conf. V, 8.15).
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