Agostino è professore di retorica a Cartagine e miete successi nel campo delle arti cosiddette liberali, ma è insoddisfatto, sente che il suo ingegno è speso male perché non riesce a capire le cose veramente importanti. “A che mi serviva aver letto e capito da solo a vent'anni le 'Categorie' di Aristotele, un libro di cui solo a pronunciare il nome le gote del mio maestro cartaginese di retorica e di altre persone che passavano per erudite si gonfiavano fino a scoppiare? A che mi giova ciò? Anzi mi nuoceva addirittura. Convinto che quegli attributi comprendono perfettamente tutto ciò che esiste, mi sforzavo di capire anche te, mio Dio, essere mirabilmente semplice e immutabile. E a che mi giova l'aver letto e capito da solo tutti i trattati che potei delle arti cosiddette liberali, se allora ero schiavo disonestissimo delle mali passioni?" (Conf. IV, 28-30).
Anche lui ha i suoi ‘divi’ e a uno di questi, l'oratore romano Gerio, dedica la sua prima fatica letteraria: Il bello e il convenevole (De pulcro et apto), per noi perduta. "Cosa mi spinse, Signore Dio mio, a dedicare quei libri a un oratore romano, Gerio, che non conoscevo personalmente? Avevo preso ad amarlo per la chiara fama della sua erudizione e per alcune parole che di lui mi erano state riferite e mi erano piaciute. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli altri, ne era esaltato e lodato. Così appunto io allora amavo gli uomini, seguendo il giudizio degli uomini e non il tuo, Dio mio, in cui nessuno s'inganna" (Conf. IV, 14.21-22).
Anche sotto l'aspetto religioso Agostino, che è stato fervente manicheo pur rifiutando sempre di passare nella categoria degli “eletti”, comincia ora a vedere l'inconsistenza di tale dottrina. Le favole dei manichei, specialmente nel confronto con le scienze, non lo convincono più. Fallisce anche l'incontro con il famoso Fausto di Milevi, un venditore di parole più che un possessore della verità.
Siamo giunti al 383. Agostino ha ormai 29 anni. ”Poco prima era giunto a Cartagine un vescovo manicheo di nome Fausto che ammaliava molta gente con la sua dolce favella, che anch'io elogiavo pur distinguendola dalla verità delle cose che ero avido di conoscere. Badavo cioè non tanto al recipiente delle parole, quanto alla vivanda del sapere che il grande Fausto mi metteva innanzi. Lo aveva preceduto la fama di uomo versatissimo in tutte le nobili discipline, ma particolarmente erudito nelle lettere. Io che ricordavo, per averle lette e studiate, le opere di molti filosofi trovavo più probabili le loro teorie sul mondo rispetto alle favole prolisse dei manichei. Investigando questi misteri con l'intelligenza e l'ingegno da te ricevuti, essi (i filosofi o, come diremmo oggi, gli scienziati) fecero molte scoperte, predissero con anticipo di anni eclissi di sole e di luna, precisandone il giorno, l'ora e la misura in cui sarebbero avvenute, senza errare nei calcoli. Molte verità hanno detto sul creato, anche se non cercano devotamente la Verità autrice della creazione. Me ne offrivano la prova razionale i calcoli, la successione delle stagioni, le testimonianze visibili degli astri, e le confrontavo con le sentenze di Mani, che in proposito scrisse molto, delirando abbondantissimamente. E lui non mi offriva la prova razionale, ma imponeva di credergli, anche quando le sue teorie divergevano largamente da quel che i calcoli numerici e i miei occhi accertavano. Perciò durante i nove anni circa in cui la mia mente vagabonda ascoltò costoro, attesi con desiderio fin troppo intenso l'arrivo di questo Fausto. Tutti gli altri di quella setta alle obiezioni che facevo non sapevano rispondere che con la promessa del suo arrivo: al primo incontro egli mi avrebbe chiarito subito tutto. Ma quando mi fu possibile incontrarmi con lui, conobbi anzitutto un uomo che non conosceva le lettere, se si esclude la grammatica, in cui pure non era eccezionalmente versato. Quando mi apparve abbastanza chiaramente l'incompetenza di quell'uomo nelle discipline ove l'avevo pensato eccellente, cominciai a perdere la speranza di avere da lui spiegate e risolte le questioni che mi turbavano. Tuttavia gliele sottoposi affinché le considerasse e discutesse. Ma egli si rifiutò: non ignaro della sua ignoranza in materia, evitò di rinchiudersi con una disputa temeraria in una posizione senza uscite e di non facile ritirata per lui. Ammirai la sua franchezza e modestia, ma si dissolse con lui tutto l'interesse che avevo portato alle dottrine manichee. Tuttavia, non trovando nulla di meglio, decisi di non separarmene del tutto" (Conf. V, 3-7).
Il mondo civile ai tempi di Agostino
Si presentano spontaneamente quattro brevi osservazioni.
Dopo la tetrarchia di Diocleziano, la riunificazione con Costantino e la ridistribuzione con i successori e con Valentiniano I, che aveva trasferito la sua sede a Milano, l'Impero romano-cristiano si va celermente scindendo, prima con lo stesso Valentiniano e il fratello Valente, poi con i figli di Teodosio, Onorio e Arcadio, nel quasi agonizzante Impero romano d'Occidente e in quello di Oriente che avrà una sopravvivenza ultra-millenaria.
L'arianesimo, sconfitto a Nicea, ed eresie affini stavano penetrando nella corte degli Imperatori, tanto Costantiniani che Valentiniani. Stava subentrando anche un pizzico di femminismo perché a Milano comandava l'implacabile ariana Giustina, madre di Valentiniano II, a Bisanzio, allora Costantinopoli, praticamente comandava l'indefinibile Eudossia, moglie di Arcadio; ma queste novelle Ippolite si scontreranno con ben altro che un Teseo; cioè con gli stupendi campioni di verità e amore che furono Ambrogio e Giovanni Crisostomo.
L'Est e il Nord stavano invadendo l'Ovest e il Sud. Arrivarono, primi fra tutti, i Visigoti seguiti da Vandali e Unni. La loro presenza nel territorio dell'Impero romano destò il più vivo interesse di Agostino pastore e scrittore, soprattutto dopo che i Visigoti saccheggiarono Roma e i Vandali penetrarono nell'Africa. Dato il declino del coraggio romano nei detentori del potere si delineeranno le figure di valenti generali, chiamati conti, come Ezio, Bonifacio e il vandalo Stilicone.
Agostino conobbe personalmente Valentiniano II, Giustina e Bonifacio.
P. Domenico Gentili
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