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Adolescenza inquieta

Agostino di Ippona - Storia di un ritorno

E’ un giovane di belle speranze. Dopo Tagaste ha studiato a Madaura, una cittadina vicina, letteratura ed eloquenza. Ma deve tornare a casa, perché il padre non ha i soldi sufficienti per fargli continuare gli studi a Cartagine, la grande città capitale dell'Africa romana. E allora egli passa nell'ozio questo tempo - il sedicesimo anno di età - così delicato per ogni ragazzo. Il suo temperamento esuberante, non controllato abbastanza da genitori ed educatori, anzi favorito dall'ambiente, lo porta ad una vita sregolata, nella continua ricerca di sensazioni piacevoli. Inizia così il suo cammino di allontanamento da Dio. Non ancora a livello intellettuale, ma la voce di Dio è scomoda e si cerca di farla tacere.

"In quel periodo che cosa mi dilettava se non l'amare e l'essere amato? Dalla fangosa concupiscenza della mia carne e dall'intima crisi dell'adolescenza esalavano nebbie che oscuravano e offuscavano il mio cuore, tanto da non più distinguere la serenità dell'amicizia dalla libidine tenebrosa... Durante quell'intervallo di riposo, nel mio sedicesimo anno, libero da ogni peso di scuola, cominciai a vivere con i genitori e i rovi delle mie passioni sorpassarono la mia testa e non v'era mano alcuna che li potesse sradicare. Anzi un giorno mio padre, come mi vide nel bagno già adolescente e rivestito dell'inquieta giovinezza, pieno di gioia, quasi prevedendo futuri nipoti, lo rivelò a mia madre. Ella sussultò e piamente trepidando, benché io non ancora fossi tuo fedele, temé tuttavia per le vie storte nelle quali camminano quelli che volgono a te le spalle. Ben ricordo come segretamente mi ammoniva affinché non commettessi atti impuri e specialmente non commettessi adulteri. Ma questi mi sembravano consigli da donnicciola e mi vergognavo di metterli in pratica. Mi avviavo al precipizio con tanta cecità che tra i miei coetanei, quando li udivo vantare le loro colpe e tanto più gloriarsi quanto più erano turpi, arrossivo di essere meno cattivo di loro e nel fare il male godevo non solo per lo sfrenato desiderio di farlo, ma anche per esserne lodato" (Conf. II, 2-3).

Di quel tempo così disordinato Agostino ricorda un fatto che colpisce particolarmente la sua attenzione per la cattiveria gratuita che lo distingueva: un furto di pere. "Io volli commettere un furto e lo feci senza esservi spinto dalla necessità, ma solo per disprezzo della giustizia ed eccesso di cattiveria. Infatti rubai cosa di cui io abbondavo e in qualità molto migliore. Né intendevo godere della cosa rubata, ma solo del furto e del peccato. Vi era un albero di pere vicino alla nostra vigna, carico di frutti non attraenti né per bellezza né per sapore. Nel cuore della notte, avevamo prolungato il gioco nelle piazze fino a quell'ora, io e altri cattivi ragazzi ce ne andammo a spogliare l'albero e a portarci via le pere. Ne portammo via un numero notevole, non per farne una scorpacciata, bensì per gettarle ai maiali, dopo averne addentata qualcuna; purché compissimo un'azione che ci piacesse di più, appunto perché proibita" (Conf. II, 4-6).

In fondo si tratta di una ragazzata e compiuta per giunta, lo confessa candidamente lui stesso, soltanto per non apparire inferiore ai suoi compagni. Ma Agostino, dopo tanti anni, giudica quell'episodio con la sua coscienza di cristiano maturo e ne vede tutta la gravità. Fu infatti un amare il male per se stesso, non per qualche bene che si ritiene legato a quel male. “Nemmeno Catilina amò i delitti in sé, ma qualche altra cosa per la cui ragione li commetteva... Eccoti il mio cuore, o Dio mio, eccoti il mio cuore di cui sentisti pietà quando si trovava nel profondo abisso. Ora ecco ti dice il cuore mio a che cosa mirava nel farmi essere cattivo senza alcuna utilità, senza che nella mia cattiveria vi fosse alcun motivo all'infuori della cattiveria stessa. Quanti si separano da te e si levano contro di te non fanno che imitarti alla rovescia. Cosa amai in quel furto e in che cosa imitai, sia pure in male e alla rovescia, il mio Signore? Mi compiacqui di violare la sua legge con la malizia, non potendolo fare con la potenza. Inseguivo una libertà monca compiendo impunemente un'azione illecita con una simulazione di onnipotenza" (Conf. II, 6-7). Quell'episodio fu soprattutto l'inizio della dispersione, del suo errare lontano da Dio. ”Io mi dispersi lontano da te ed errai, Dio mio, durante la mia adolescenza per vie troppo remote della tua solida roccia" (Conf. II, 9).

 

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