"All'avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati ad una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi cercavamo fra noi alla presenza della verità che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d'uomo. Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te, per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.
Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d'amore verso l'Essere stesso, percorremmo su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole, la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l'esaltazione, l'ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch'esse superammo per attingere la plaga dell'abbondanza inesauribile, ove pasci Israele in eterno col pascolo delle verità, ove la vita è la Sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l'essere stato e l'essere futuro non sono in lei, ma solo l'essere in quanto eterna, poiché l'essere stato e l'essere futuro non è l'eterno. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di te, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito, per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine. E cos'è simile alla tua Parola, il nostro Signore, stabile in se stesso senza vecchiaia e rinnovatore di ogni cosa?
Si diceva dunque: "Se per un uomo tacesse il tumulto della carne, tacessero Le immagini della terra, dell'acqua e dell'aria, tacessero i cieli e l'anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per sparire se per un uomo tacesse completamente, sì, perché chi le ascolta, tutte le cose dicono: `Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece chi permane eternamente'; se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver levato l'orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce d'angelo o fragore di nube o enigma di parabola, ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, lui direttamente udissimo senza queste cose, come or ora protesi con un pensiero fulmineo cogliemmo l'eterna Sapienza stabile sopra ogni cosa, e tale condizione si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente inferiore, scomparissero, e quest'unica nel contemplarla ci rapisse e assorbisse e immergesse in gioie interiori, e dunque la vita eterna somigliasse a quel momento d'intuizione che ci fece sospirare: non sarebbe questo l'entra nel gaudio del tuo Signore? E quando si realizzerà? Non forse il giorno in cui tutti risorgiamo, ma non tutti saremmo mutati?" (Conf. IX, 10,23-26).
Tornati con la mente sulla terra, Monica dice al Figlio: “Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Non so che cosa faccio ancora qui. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una cosa sola c'era che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatto ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?" (Conf. IX, 10.26). Dopo pochi giorni si mise a letto con la febbre e il male subito si aggravò. In un momento di lucidità disse ai suoi due figli: "Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una cosa sola vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore" (Conf. IX, 11.27).
Il 13 novembre del 387, a 56 anni di età, l'anima credente e pia di Monica fu liberata dal corpo. Agostino le chiuse gli occhi. Una tristezza immensa gravava sul suo cuore. “Dio mio, creatore nostro, come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei, alla servitù che aveva sopportato lei per me? Privata della grandissima consolazione che trovava in lei, la mia anima rimaneva ferita, e la mia vita, stata tutt'una con la sua, rimaneva come lacerata" (Conf. IX, 12.30).
Come sono strani i disegni di Dio! Monica lo aveva generato tante volte, quante lo aveva visto allontanarsi da Dio. Agostino le aveva voluto un bene che mai si troveranno parole per esprimerlo; ora che poteva farla felice, non era più con lui. Dio nel suo mistero guida la nostra storia. Ci consola la certezza che la sua storia è sempre storia d'amore.
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