Siamo nel 373. Agostino ha ormai 19 anni. Avviene qualcosa che dà un primo grande scossone alla sua vita. Incontra, secondo il corso normale degli studi, un'opera di Cicerone, il dialogo 'Ortensio', che vuol essere un'esortazione alla filosofia e alla ricerca della verità. Qualcosa cambia in Agostino e per sempre. È come se si risvegliasse da un sonno. E comincia a cercare.
“Fu il corso normale degli studi che mi condusse al libro di un tal Cicerone, ammirato dai più per la lingua, non altrettanto per il cuore. Quel suo libro contiene un incitamento alla filosofia e s'intitola 'Ortensio'. Quel libro, devo ammetterlo, mutò il mio modo di sentire, mutò le preghiere stesse che rivolgevo a te, Signore, suscitò in me nuove aspirazioni e nuovi desideri, svilì d'un tratto ai miei occhi ogni vana speranza e mi fece bramare la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore. Così cominciavo ad alzarmi per tornare a te” (Conf. III, 4).
Agostino si mette subito alla ricerca della sapienza o della verità. Ma dove cercarla? Il suo primo pensiero è quello di volgersi alla religione di sua madre. Purtroppo non pensa di rivolgersi alla Chiesa: vuole andare direttamente alla fonte e prende in mano la Sacra Scrittura. Ma affronta la Parola di Dio con gli occhi del professore di retorica e con la superbia del giovanotto pretenzioso. Ne resta deluso: e per lo stile semplice e scarno, e perché richiede l'accettazione del mistero. Lui vuole verità chiare e precise. “Mi proposi di rivolgere la mia attenzione alle Sacre Scritture per vedere come fossero. Ed ecco cosa vedo: un oggetto oscuro ai superbi e non meno velato ai fanciulli, un ingresso basso, poi un andito sublime e avvolto di misteri. Ebbi l'impressione di un'opera indegna del paragone con la maestà ciceroniana. Il mio gonfio orgoglio aborriva la sua modestia, la mia vista non penetrava i suoi misteri" (Conf. III, 5).
Agostino si chiuse da solo la porta in faccia, la porta del Signore, mentre avrebbe dovuto bussare perché gli si aprisse. Nel 418 ormai sessantaquattrenne, in un discorso ai fedeli, dirà a questo proposito: "Vi parlo io che un tempo m'ingannai, quando la prima volta da giovane volli applicare alle S. Scritture l'acume della discussione prima della ricerca in spirito di fede; fui proprio io che, per la mia cattiva condotta, mi chiusi in faccia la porta del mio Signore; mentre avrei dovuto bussare perché mi fosse aperta, aggiungevo un motivo maggiore perché mi fosse chiusa: osavo infatti cercare da superbo ciò che può trovare solo chi è umile. Io credendomi capace di volare, lasciai il nido e caddi prima che potessi spiccare il volo. Il Signore però, nella sua misericordia, perché non fossi calpestato dai passanti e morissi, mi raccolse e mi ripose nel nido" (Disc. 51, 5.7). Ma quella mano di Dio non lo raccolse subito: lo lasciò ancora vagare nella sua libertà, sapendo che intanto un piccolo seme era entrato nel suo cuore... una “inquietudine” che continuerà a tormentarlo.
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