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La stella polare

Agostino di Ippona - Storia di un ritorno

Per trovare questa luce, questa stella polare verso cui dirigere la rotta, Agostino doveva superare un grosso ostacolo: il razionalismo, la sola ragione in opposizione alla fede. Un ostacolo che aveva poi un suo corollario: poiché la certezza della verità non può essere raggiunta dalla mente umana (ne stava facendo l'amara esperienza), logica conseguenza è lo scetticismo: la verità non potrà essere mai raggiunta, quindi inutile affaticarsi a cercarla.

E’ una tentazione terribile, ma che rende Agostino molto vicino agli uomini d'oggi. E agli uomini d'oggi egli continua a mostrare la strada per raggiungere la soluzione del problema. E’ una meta che si raggiunge per gradi.

1. Per raggiungere la verità occorre appoggiarsi ad una autorità. Non più quindi il dilemma ragione o fede, ma ragione e fede. "Spesso mi sembrava che non si potesse trovare la verità e allora i miei pensieri si muovevano verso gli accademici. Spesso invece, considerando attentamente la vivacità, la perspicacia della mente umana, pensavo che non potesse ignorare la verità, ma che ignorasse piuttosto il modo di cercarla, che è quello che parte da un'autorità divina. Non restava che cercare quale fosse quell'autorità" (De util. credendi 8,20). Agostino si accorge che la fede, del resto, è un atteggiamento inseparabile dalla condizione umana: senza fede non esiste né storia, né amicizia, né famiglia, né associazione alcuna (Conf. VI, 5.7).

2. Tale autorità non può essere che Cristo quale è presentato dalle sacre Scritture. La scuola di Ambrogio ha ottenuto i suoi risultati. “Essendo gli uomini troppo deboli per trovare la verità con la sola ragione, e avendo perciò bisogno dell'autorità dei testi sacri, io avevo cominciato a credere ormai che non avresti attribuito un'autorità così eminente presso tutti i popoli a quella Scrittura, se non avessi desiderato che l'uomo per suo mezzo credesse in te e per suo mezzo ti cercasse. La sua autorità mi appariva tanto più venerabile e degna di fede sacrosanta, in quanto si offriva a qualsiasi lettore, ma serbava la maestà dei suoi misteri a una penetrazione più profonda" (Conf. VI, 5.8). Ma anche i manichei sbandieravano Cristo e i libri sacri interpretandoli a loro modo. Ecco allora il terzo passo, quello decisivo.

3. L'autorità dei libri santi può essere garantita soltanto da un'altra autorità, che è quella della Chiesa cattolica. Anche lui, studente a Cartagine, in nome di un cristianesimo carismatico, aveva opposto Cristo alla chiesa. Fu poi, scrivendo contro i suoi antichi correligionari, che Agostino giunse al celebre aforisma: “Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica" (Contra Ep. Man. 5,6). Ma l'intuizione di questa profonda verità l'aveva avuta a Milano. Da quel momento egli non separò più la chiesa da Cristo, e aderì di nuovo all'autorità della Chiesa, come aveva aderito sempre all'autorità di Cristo. Agostino ha trovato la sua stella polare.

Non si può dire che il suo itinerario spirituale sia terminato, ma, una volta accettata l'autorità della Chiesa, il suo cammino è come in discesa, anche per una mente come la sua che ha bisogno di capire fino in fondo. I problemi ancora da risolvere non sono di poca importanza. Come la spiritualità di Dio e l'origine del male, due problemi legati tra loro e che lo tormentarono finché non incontrò le opere dei Neoplatonici. Da questi filosofi apprese la distinzione essenziale tra il sensibile e l'intelligibile. Agostino aveva superato l'idea di Dio come di un essere corporeo, ma, nonostante i suoi sforzi, non riusciva a concepire un essere incorporeo, senza estensione nello spazio. Ora invece intuiva con sommo stupore una realtà molto diversa da quella che i sensi percepiscono o rappresen­tano, ma non per questo meno reale o meno vera: la realtà intelligibile. “Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida. Vi entrai e scorsi con l'occhio della mia anima una luce immutabile. Chiesi: `La verità è dunque un nulla poiché non si estende nello spazio sia finito, sia infinito?, - e tu mi gridasti da lon­tano: Anzi, io sono colui che sono’ (cioè, Dio è l'essere immutabile ed eterno, è la verità). Queste parole udii con l'udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sa­rebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell'esistenza del­la verità, la quale si scorge compren­dendola attraverso il creato" (Conf. VII, 10.16). Negli scritti dei neopla­tonici trovò infine la vera nozione del male. Capì che non era logico chiedersi da dove viene il male, come facevano i manichei, se prima non se ne conosce la natura: cos'è il male. Agostino comprese che il male non è una sostanza, ma una privazione. “Mi si rivelò anche nettamente la bontà delle cose corruttibili, che non potrebbero corrompersi né se fosse­ro sommi beni, né se non fossero be­ni. Essendo beni sommi sarebbero incorruttibili; essendo nessun bene non avrebbero nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione infatti è un danno, ma non vi è danno senza una diminuzione di bene. Dunque o la corruzione non è danno, il che non può essere, oppure, cosa invece certissima, tutte le cose che si corrompono subiscono una privazione di bene. Dunque tutto ciò che esiste è bene, e il male di cui cercavo l'origine non è una sostanza. Così vidi, così mi si rivelò chiaramente che tu hai fatto tutte le cose buone e non esiste alcuna sostanza che non sia stata fatta da te" (Conf. VII, 12.18). Da qui la conclusione: il male, diminuzione o privazione del bene, proviene unicamente dal peccato dell'uomo.

Infine, leggendo S. Paolo, Agostino incontrò il mistero di Cristo, della cui profondità non era ancora consapevole. Attraverso le pagine dell'Apostolo trovò non solo Cristo Maestro, che aveva sempre riconosciuto, ma Cristo Verbo incarnato, Redentore degli uomini, fonte della grazia. Conobbe inoltre l'umiltà che fa riconoscere la propria insufficienza e implora la grazia, il sacrificio di lode che ringrazia per i doni divini e il pegno dello Spirito Santo, in cui è fondata la nostra speranza di giungere alla meta. "Cercavo la via per procurarmi la forza sufficiente a goderti, ma non l'avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù; poiché il Verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza con cui creasti l'universo, diventasse latte per la nostra infanzia. Non essendo umile, non comprendevo l'umiltà del mio Dio, Gesù Cristo, né intendevo di che fosse maestra la sua infermità" (Conf. VII, 18.24).

Ora Agostino può dirsi convertito: ha rimosso tutti gli ostacoli di tipo intellettuale, conosce la meta da raggiungere e la via da percorrere. Ma c'è qualcosa che ancora lo tiene attaccato alla terra e gli impedisce di fare il passo decisivo.

 

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