Da quel lontano novembre del 387 di tempo ne era passato. Nei suoi 76 anni, Agostino sente ormai prossima la fine. Chiuse gli occhi e in un attimo molti avvenimenti della sua vita gli sfilarono davanti, come in un sogno:
la sua prima comunità di Tagaste, una vera comunità di amici; la morte di Adeodato, il ragazzo prodigio (a. 389); l'anziano vescovo di Ippona e il suo bisogno di aiuto pastorale; le sue lacrime quando fu obbligato ad accettare di diventare sacerdote; i lunghi anni dell'Episcopato, le sue lotte contro gli eretici... i fogli di papiro consumati. Mio Dio, quanti libri aveva scritto!
La sua fronte si spiana e un sorriso gli aleggia sulle labbra: gli stanno passando davanti i suoi monasteri, maschili e femminili, con quelle belle comunità che testimoniano l'unità della chiesa. Come dovrebbero essere tutti i cristiani, quegli uomini e quelle donne consacrati al Signore formano veramente "un cuore solo e un'anima sola protesi verso Dio". Sì, ti ringrazio, Signore.
Sentiva il suo cuore placato. Ora desiderava solo Dio.
"Così, giorno dopo giorno, / siamo arrivati alla fine della nostra grande / bellissima giornata d'ogni uomo... / Cadono i petali di quella che crediamo / essere vita, umana vicenda e storia..." (Testori, Conversazione con la morte)
È l'anno 430. Roma ammutolita assiste incredula allo sfacelo del suo impero. I Vandali hanno assediato già Ippona, la città di Agostino. In quel 28 agosto chiude gli occhi al mondo per riaprirli nella pace di Dio. Ma non è morto del tutto. "Pochi uomini hanno esercitato nel pensiero delle generazioni successive un'influenza così profonda e così continua, come Agostino".
Oggi, come nel secolo di Agostino, ci dibattiamo nella coscienza di un'epoca che sta per finire, e lottiamo tra il rifiuto di un passato che si sta esaurendo e l'utopia di un futuro che riusciamo appena a sognare. Agostino ci aiuta ancora a saper cogliere quei valori di fondo che, unici, possono orientarci nella costruzione di un mondo più giusto e più umano.
Mi hai liberato dall'abisso
“O Signore, io sono servo tuo, sonò servo tuo e sono figlio dell'ancella tua. Poiché hai spezzato i miei lacci, ti offrirò in sacrificio di lode una vittima. Ti lodi il mio cuore, la mia lingua; tutte le mie ossa dicano: `Signore, chi simile a te?' Così dicano, e tu rispondimi, dì all'anima mia: `La salvezza tua io sono'.
Io chi ero mai? Com'ero? Quale malizia non ebbero i miei atti o, se non gli atti, i miei detti o, se non i detti, la mia volontà? Ma tu, Signore, sei buono e misericordioso; con la tua mano, esplorando la profondità della mia morte, hai ripulito dal fondo l'abisso di corruzione del mio cuore. Ciò avvenne quando non volli più ciò che volevo io, ma volli ciò che volevi tu.
Dov'era il mio libero arbitrio durante una serie così lunga di anni? Da quale profonda e cupa segreta fu estratto all'istante, affinché io sottoponessi il collo al tuo gioco lieve e le spalle al tuo fardello leggero, o Cristo Gesù, mio soccorritore e mio redentore?
Come a un tratto divenne dolce per mela privazione delle dolcezze frivole? Prima temevo di rimanerne privo, ora godevo di privarmene. Tu, vera suprema dolcezza, le espellevi da me, e una volta espulse, entravi al loro posto, più soave di ogni voluttà, ma non per la carne e il sangue; più chiaro di ogni luce, ma più riposto di ogni segreto; più elevato di ogni onore, ma non per chi cerca in sé la propria elevazione.
Il mio animo era libero ormai dagli assilli mordaci dell'ambizione, del denaro, della sozzura e del prurito rognoso delle passioni, e parlavo con te, mia gloria e ricchezza e salute, Signore Dio mio.” (Conf. IX, 1.1)
Quando amo il mio Dio
“Di amare Te, Signore, non ho alcun dubbio; anzi, ne sono certo. Con la tua parola hai toccato il mio cuore ed io ho incominciato ad amarti.
Ma che cosa amo amando Te? Non una bellezza corporea, né una grazia transitoria; non lo splendore di una luce sì cara a questi miei occhi; non dolci melodie di svariate cantilene; non un profumo di fiori, di unguenti e di aromi; non manna né miele; non membra invitanti ad amplessi carnali. Amando il mio Dio, non amo queste cose.
E tuttavia nell'amare Lui amo una certa luce, una voce, un profumo, il cibo, l'amplesso dell'uomo interiore che è in me, dove splende alla mia anima una luce che nessun luogo può ospitare, dove risuona una voce che nessun fluire di secoli può portare via, dove si espande un profumo che nessuna ventata può disperdere, dove si gusta un sapore che nessuna voracità può sminuire, dove si intreccia un rapporto che nessuna sazietà può spezzare.
Tutto questo io amo, quando amo il mio Dio.” (Conf. X, 6)
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