Il Parroco di Sant'Anna invitato dai Musei Vaticani ad ammirare l'icona dopo i lavori di restauro
Padre Bruno Silvestrini osa, parroco della Pontificia Parrocchia di Sant'Anna in Vaticano, nella mattinata di venerdì 26 gennaio u.s. è stato chiamato dal Sig. Marco Maggi per conto della Dott.ssa Vittoria Cimino dei Musei Vaticani, per essere invitato ad ammirare l'Icona della Salus populi Romani, custodita e venerata da secoli nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, dopo il lungo ed attento lavoro di restauro a cui è stata sottoposta nel Laboratorio di restauro pitture.
L'OSSERVATORE ROMANO n. 19 del 25/01/2018 p. 4
L' icona venerata a Santa Maria Maggiore è legata all' identità stessa della città
Restaurata la Salus populi Romani
di Barbara Jatta
Nella tradizione figurativa romana vi è un gruppo di icone acheropite (in greco, letteralmente "non dipinte da mano d' uomo") che la leggenda riconosce come di origine miracolosa. Invocate durante guerre, pestilenze o carestie, esposte alla pubblica venerazione o solennemente portate in processione, queste immagini erano spesso attribuite alla mano dell' evangelista Luca, ed esercitavano un' incidenza certo notevole nella vita sociale e religiosa. Furono soprattutto le icone di soggetto mariano ad avere un posto di primo piano nella devozione popolare. L' immagine affettuosa della Madre che stringe sé il Figlio ancora bambino è un motivo iconografico che viene elaborato originariamente in ambito bizantino ma che trova presto larga accoglienza in tutto il mondo cristiano.
A Roma, le prime icone mariane di ispirazione orientale si attestano a partire dal V secolo (Madonna di Santa Maria Nuova), per raggiungere l' acme della loro diffusione tra VI e VIII secolo (Madonne di Santa Maria in Trastevere e di Santa Maria ad martyres); un caso a sé è invece costituito dal tipo del monasterium tempuli, già nella basilica di San Sisto sulla via Appia, il cui prototipo iconografico, ancora riecheggiato nelle più tarde versioni all' Ara Coeli, in Santa Maria in Campo Marzio, ai Santi Bonifacio e Alessio e in Santa Maria in via Lata, si configura come invenzione siro-palestinese del VII-VIII secolo.
Forse la più celebre fra queste icone mariane è la tavola di Santa Maria Maggiore, particolarmente cara alla pietà popolare e tanto legata all' identità cittadina da meritare l' appellativo di Salus populi Romani, "salvezza del popolo romano" ora di nuovo restaurata. La datazione dell' antica immagine, assai controversa, è tutt' ora oggetto di dibattito. Le analisi e i risultati del nuovo restauro saranno sicuramente motivo di confronti per gli studiosi specialisti.
Tradizionalmente ritenuta originaria di Gerusalemme, dove sarebbe stata dipinta dallo stesso san Luca, per comparire poi a Roma sotto Sisto III (432-440) ed essere da lui donata alla basilica che era stata costruita dal suo predecessore Liberio sull' Esquilino (352-366), l' immagine mostra in realtà caratteri di stile cronologicamente molto più avanzati. L' iconografia della Madre col Figlio fonde infatti il tipo greco della Odighitria (dal greco hodeghètria, "colei che mostra la via", cioè Cristo) con quello della glykophilùsa, ("che ama con dolcezza", la Madre della tenerezza) rimandando dunque al canone della primitiva arte bizantina anteriore alla crisi iconoclasta e orientando quindi verso una datazione alta del manufatto (VIII-IX secolo). Tuttavia la stesura differenziata degli impasti cromatici, che alterna alla descrizione calligrafica di vesti e accessori la costruzione strutturata delle mani e dei volti, avvicina il dipinto a prodotti consimili del medioevo romano, venendo di conseguenza a situarsi tra il secolo XI e il XIII. Posta inizialmente nella navata principale della basilica liberiana, dal 1613 l' immagine si trova nell' attuale collocazione, sull' altare della cappella Borghese in Santa Maria Maggiore, all' interno di una teca bronzea munita di cristallo, con iscrizione dedicatoria di Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621).
La tavola mostra l' immagine familiare della Madre di Dio (theotòkos), vestita di un manto (maphòrion) azzurro fregiato d' oro, mentre porta avanti le braccia per sorreggere il Bambino, tenendole incrociate all' altezza della vita: nella sinistra stringe una mappula, fazzoletto ricamato di uso cerimoniale, in origine collegato alla simbologia imperiale; con la destra, munita di anello, sembra accennare a un gesto, interpretato da alcuni come un' allusione di significato trinitario. Il mantello che ne disegna la figura le avvolge completamente le spalle e il capo, ma lascia intravedere la tunica, di cui fuoriescono le maniche e si riconoscono porzioni all' altezza del petto e dei fianchi.
La suprema eleganza dell' immagine, accentuata dalla fluidità dei contorni e dall' apparente disinvoltura della posa, è aumentata dall' intensità dello sguardo, parzialmente velato dalla penombra e diretto ostentatamente di lato. Il Bambino stesso, vestito di un hymàtion e con la destra portata avanti in gesto di benedizione, rivolge il proprio sguardo alla Madre, mentre l' espressione adulta e il codice preziosamente rilegato che impugna con la sinistra conferiscono centralità e importanza al suo ruolo.
L' icona, alta 117 centimetri e larga 79, è dipinta su una tela ingessata e applicata su tavola. Il supporto è costituito da due assi verticali congiunti, probabilmente decurtati nella terminazione inferiore e forse anche nella superiore. La cornice, aggiunta in un secondo momento, costituisce invece elemento a sé stante.
L' ultimo intervento conservativo sulla tavola risale al 1931 e alla volontà del cardinale Bonaventura Cerretti, arciprete della basilica, e di Bartolomeo Nogara, direttore delle Gallerie Vaticane. Sappiamo che il restauro venne «eseguito con ogni regola d' arte» da Giovani Rigobelli e fu volto a ridare al dipinto «colore e vita». L' intervento riguardò allora principalmente l' asportazione della pesante lamina in argento «che copriva quasi tutto il dipinto, a eccezione dei volti e di mezzo busto», fatta aggiungere dal Pontefice nel 1838 per poter applicare nuove corone in corrispondenza dei due visi. In occasione di tale rimozione, fu peraltro deciso di lasciare a vista «le due corone d' oro di Gregorio XVI, la collana con 3 ametiste, 4 topazi e 2 acquemarine alla quale poi venne anche attaccata la croce pettorale, mentre la stella a 12 punte», con la sostituzione dei diamantini mancanti, «venne applicata sulla spalla della Vergine nella tavola stessa». Tutti questi materiali sono stati rimossi nel 1988 ed esposti nel Museo del tesoro di Santa Maria Maggiore.
Il restauro appena terminato è scaturito nell' ambito dei periodici controlli esercitati sull' icona dal personale scientifico del Laboratorio restauro pitture e manufatti lignei dei Musei Vaticani che sovrintendono ai tesori e alle bellezze artistiche preservate nelle basiliche maggiori. Durante queste revisioni, nel luglio del 2017, si era potuto constatare l' aggravarsi di pregresse condizioni di deterioramento, interessanti tanto il supporto che la pellicola pittorica.
Informato dello stato dell' antica e veneratissima icona, il cardinale Stanislaw Rylko, arciprete della basilica liberiana, ha dato il via all' esecuzione di un pronto intervento di fissaggio e consolidamento delle aree più a rischio. Si è quindi proceduto a uno studio approfondito della tavola, volto alla comprensione della tecnica, dei materiali costitutivi e dello stato di conservazione.
Presso il Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani sono state eseguite le analisi spettrografiche, fluorescenza ultravioletta indotta, infrarosso in falsi colori, riflettografia infrarossa e radiografia. Sulla base dei dati ottenuti sono stati poi decisi approfondimenti scientifici per la determinazione dei pigmenti impiegati (analisi xrf e Raman). Ulteriori indagini scientifiche sono state poi compiute sul supporto ligneo, per il riconoscimento della specie legnosa e per la sua datazione mediante radiocarbonio.
Lo studio morfologico indica che le tavole centrali sono di tiglio mentre quelle della cornice sono di frassino. I risultati del radiocarbonio, inoltre, indicano una datazione del legno, con una probabilità di oltre l' 80 per cento, compresa tra la fine del IX secolo e gli inizi dell' XI per la tavola principale, e tra la fine del X e la prima metà dell' XI per la cornice perimetrale.
D' intesa con l' amministrazione della basilica, e con grande prudenza considerato l' altissimo valore simbolico, devozionale e artistico dell' immagine, si è quindi dato corso al restauro. Questo si è svolto nel Laboratorio di restauro pitture dei Musei Vaticani, sotto la sovrintendenza del direttore dei musei stessi, grazie all' aiuto di Guido Cornini, direttore del Dipartimento delle arti, e realizzato da Alessandra Zarelli, supportata da Massimo Alesi per la parte lignea, con il coordinamento di Francesca Persegati.
Il restauro ha comportato la pulitura generale dell' opera; al di sotto degli strati di colla e vernici ossidate, infatti, le condizioni generali dell' icona apparivano relativamente soddisfacenti. A prescindere dai danni diffusi provocati dall' applicazione dei pezzi di oreficeria, la pellicola pittorica della tavola si presentava in discrete condizioni conservative, ancorché punteggiata da stuccature e interessata da ritocchi e, appunto, vernici alterate.
Si è proceduto quindi con relativa facilità ma con risultati sorprendenti di recupero dell' immagine originale. Sotto gli strati di vernice ossidata e vecchi restauri la pulitura è riuscita a recuperare la delicata cromia dei volti originali, l' intero manto della Madre di Dio, quello meravigliosamente dorato del piccolo Gesù, il libro e altre zone prima quasi illeggibili. Anche nella zona delle aureole la rimozione del pigmento rossastro che era stato sovrapposto ha permesso il recupero delle incisioni e dell' oro originale, e nella raffigurazione del Bambino la restituzione della tripartizione antica: un risultato significativo, che ha ridato una nuova luce e una nuova visione alla sacra immagine. Si è provveduto, infine, anche al risanamento del supporto ligneo e alla cornice, alterati negli anni da vecchi restauri e da attacchi xilofagi.
Tanti sono stati i momenti di confronto che si sono avuti fra la commissione dell' amministrazione della basilica liberiana e quella dei Musei Vaticani per la conduzione del complesso intervento: momenti che hanno visto il coinvolgimento delle due istituzioni nell' assunzione comune di decisioni importanti e talvolta delicate; e che hanno permesso di terminare il restauro nei tempi previsti, con la piena soddisfazione per il risultato scientifico ed estetico.
È stata inoltre realizzata una nuova teca conservativa, identica nelle forme a quella attualmente in uso, munita però di maniglie e ridotta nello spessore, così da risultare meno pesante e più maneggevole per gli spostamenti che l' icona dovrà avere per le celebrazioni annuali e per i controlli periodici del suo stato conservativo. Questa soluzione, appositamente studiata dall' Ufficio del Conservatore dei Musei Vaticani, presenterà inoltre il vantaggio di garantire le condizioni termo-igrometriche della tavola, stabilizzandone il microclima all' interno del contenitore.
Sotto la supervisione scientifica dei Musei Vaticani, negli stessi mesi, è stato eseguito il restauro della sontuosa parete barocca dell' altare della cappella Borghese dove l' icona è conservata. Concepita come trionfo di angeli per l' esaltazione della Salus populi Romani, venne eretta da Pompeo Targoni su modello di Girolamo Rainaldi tra il 1609 e il 1612. Il restauro, eseguito dalla ditta Sante Guido di Roma permette di godere ancora meglio dell' insieme del luogo e del ritrovato splendore dell' immagine.
Da oggi la celebre icona ha un volto nuovo, liberato da secoli di ritocchi e da vernici alterate, dunque riportato alla sua antica cromia. Una raffigurazione che conserva il suo aspetto ieratico, deciso ma dolce, quello della Madre di Dio che protegge tutto il popolo romano.
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L'OSSERVATORE ROMANO n. 20 del 26/01/2018 p. 7
La Madonna di Roma
di Stanislaw Rylko
La basilica papale di Santa Maria Maggiore è il più antico santuario mariano non solo di Roma, ma di tutto l' occidente. Costruita da Liberio nel IV secolo, fu poi restaurata e ampliata da Sisto III in occasione del concilio di Efeso (431), che definì il dogma della divina maternità di Maria. È l' unica tra le basiliche papali romane ad avere conservato intatte le strutture paleocristiane originali, sia pure arricchite da aggiunte successive. Oltre sedici secoli di storia, dunque, per uno straordinario monumento di fede e di amore per la Madre di Dio.
Ogni anno, l' ultima domenica di gennaio, nella basilica viene celebrata la festa della Traslazione dell' icona Salus populi Romani, rendimento di grazie per questa sacra immagine dagli evidenti caratteri orientali e caratterizzata, secondo la tradizione, da numerose vicende miracolose. La festa è molto sentita e partecipata dai romani, che vedono in quest' icona la loro Madonna, la Madonna di Roma, l' icona mariana più amata e onorata, al punto da essere considerata come un palladio, cioè uno scudo della città. Nella cappella Paolina, dov' è custodita l' immagine, vi è sempre gente in preghiera e la basilica è tra i luoghi più frequentati da romani e pellegrini.
Per comprendere la portata spirituale di questa immagine, bisogna tener presente che si tratta di un' icona e di un' icona molto antica. L' icona non è mai solo un' immagine, ma un invito ad andare oltre quanto vi è raffigurato per entrare in un' altra dimensione, come un ponte tra l' umano e il divino. Ed è questo il suo segreto più profondo. L' icona poi è una presenza, nel senso che rende presente ciò che raffigura. Si può dunque parlare quindi di una particolare mistica delle icone, che ci permettono di vivere un vero incontro con Dio, con Maria e con i santi.
E ancora le icone guardano. Sono guardate, ma anch' esse guardano. Nelle icone lo sguardo di Gesù, di sua madre, è serio, penetrante e, al tempo stesso, tenero e pieno di amore. È uno sguardo capace di trasformare la vita. Bisogna aggiungere, infine, che ogni icona, circondata dalla pietà popolare, è un invito alla preghiera, poiché attesta la fede e la speranza di intere generazioni di fedeli, che lungo la storia davanti a essa hanno pregato e non sono rimasti delusi.
Sono queste le premesse necessarie per capire il fenomeno spirituale dell' icona della Salus populi Romani e la straordinaria devozione e l' amore del popolo di Dio che la circondano da secoli.
L' immagine appartiene alla tradizione delle icone attribuite a san Luca, ma in realtà secondo gli studi più recenti sarebbe opera di un autore anonimo datata tra il IX secolo e il XII. Rappresenta Maria con il figlio in braccio, che con una mano benedice e con l' altra tiene il libro. Si tratta di una Madonna Odigitria, cioè colei che indica la via che è il Figlio. I volti della Madre di Dio e del Bambino sono di una bellezza affascinante: i loro occhi ci fissano in modo amorevole e penetrante. Nella mano sinistra Maria tiene un fazzoletto, pronta ad asciugare le lacrime di chi piangente si rivolge a lei per chiedere aiuto. Le lettere greche sullo sfondo sono le abbreviazioni di mèter theoù, "madre di Dio", secondo la definizione del concilio di Efeso.
Questa sacra effige è legata a Santa Maria Maggiore. Dal 1256 era posta nella navata centrale della basilica, nel cosiddetto ciborio. Nel 1613, invece, fu collocata nella cappella Paolina, costruita appositamente da Paolo V. Il popolo di Roma si rivolgeva alla Vergine per presentarle tutte le sue necessità, specialmente durante pestilenze, calamità naturali o guerre, quando veniva portata in processione per le vie della città. Così, davanti alla Salus populi Romani hanno trovato eco gli avvenimenti più importanti della vita religiosa e civile. Nel 1931, per il quindicesimo centenario del concilio efesino, Pio XI indisse a Roma uno speciale congresso mariano per onorare la Salus populi Romani. Pio XII le rese omaggio in occasione della proclamazione del dogma dell' Assunzione nel 1950 e poi, nel 1954, nel primo anno mariano, incoronò l' icona. Giovanni Paolo II affidò l' immagine ai giovani nella giornata mondiale della gioventù a Roma nel 2000. «D' ora in poi, insieme alla Croce, essa accompagnerà le Giornate Mondiali della Gioventù. Sarà segno della materna presenza di Maria accanto ai giovani, chiamati, come l' apostolo Giovanni, ad accoglierla nella loro vita» disse il Papa all' Angelus il 13 aprile 2003.
La Salus populi Romani è una delle icone mariane più conosciute e diffuse, spesso sotto nomi diversi, spesso indicata come modello per l' iconografia della Vergine. In Polonia, ad esempio, vengono venerate oltre 350 copie di questa immagine e 37 di esse sono state insignite delle corone papali. La prima copia ufficiale venne eseguita nel 1569 con il permesso di Pio V, su richiesta di Francesco Borgia, preposito generale dei gesuiti e grazie all' appoggio del cardinale Carlo Borromeo, arciprete della basilica. Questa copia è conservata e si trova nella cella di san Stanislao Kostka, presso la chiesa di Sant' Andrea al Quirinale. A tutti i gesuiti che partivano in missione, Borgia donava una copia dell' icona. Matteo Ricci la portò in Cina e la regalò all' imperatore cinese.
Quest' anno la ricorrenza della traslazione della Salus populi Romani avrà un carattere speciale. Per la prima volta sarà presieduta da Papa Francesco, a lei molto legato e che come arcivescovo di Buenos Aires nelle sue visite a Roma non mancava di visitare la basilica. Appena eletto Pontefice, si è subito recato a Santa Maria Maggiore per affidare alla Salus populi Romani il suo pontificato e pregare davanti all' immagine nella basilica, come ogni volta prima e dopo i viaggi internazionali, offrendole dei fiori. «Bel titolo» quello dell' immagine «perché Maria ci dona la salute, è la nostra salute» ed «è la mamma che ci dona la salute nella crescita, ci dona la salute nell' affrontare e superare i problemi, ci dona la salute nel renderci liberi per le scelte definitive; la mamma che ci insegna ad essere fecondi, ad essere aperti alla vita e ad essere sempre fecondi di bene, fecondi di gioia, fecondi di speranza, a non perdere mai la speranza, a donare vita agli altri, vita fisica e spirituale» ha detto il 4 maggio 2013, meno di due mesi dopo la sua elezione.
La festa della Traslazione del prossimo 28 gennaio avrà un carattere particolare anche perché coinciderà con il ritorno dell' icona in basilica, dopo una lunga e impegnativa operazione di restauro, eseguita con dedizione dal personale altamente qualificato del laboratorio restauri dei Musei vaticani. Dopo tanti anni, infatti, anche per questa venerabile icona si è reso necessario un restauro. Il passare del tempo aveva lasciato evidenti segni di deterioramento e aveva oscurato il volto della Vergine e quello del Figlio. Si è voluto dunque ridare all' immagine lo splendore e la luminosità originari, per poi collocarla nell' altare della cappella Paolina a lei dedicato e anch' esso restaurato, trono degno della Madre di Dio.
I romani hanno accolto queste notizie con grande gioia e il prossimo 28 gennaio torneranno a dare la loro testimonianza di fede e di amore alla loro Madonna, invocando la sua intercessione e pregando per Roma, per la Chiesa e in modo speciale per Papa Francesco.
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L'OSSERVATORE ROMANO n. 20 del 26/01/2018 p. 7
Un legame strettissimo
di Maurizio Fontana
È un legame strettissimo quello che che unisce Papa Francesco con la Vergine Maria, venerata nell' immagine della Salus populi Romani, tanto cara alla gente della città di cui lui è vescovo.
Domenica 28 gennaio, all' inizio della mattinata, il Pontefice celebrerà a Santa Maria Maggiore la messa in occasione della festa della traslazione dell' icona mariana. E per la cinquantanovesima volta si recherà nella basilica liberiana a renderle omaggio. Un gesto ripetuto con devozione, ormai da tutti percepito come normale: si sa che Francesco, quasi a segnare i giorni del suo pontificato, attraversa spesso il centro di Roma e dal Vaticano raggiunge l' Esquilino, dove sorge il tempio mariano. Lo ha fatto sin dall' inizio del suo ministero di successore dell' apostolo Pietro, quando, il 14 marzo 2013, giorno successivo alla sua elezione, di prima mattina, andò a pregare la Madonna, a cui portò dei fiori, affinché custodisse tutta Roma. Lo fa sempre in occasione dei viaggi internazionali: prima della partenza, per affidare alla Vergine la riuscita delle sue visite, e poi al ritorno, per ringraziare la Madre di Dio e pregare perché quanto fatto possa portare frutto. Lo fa in altri appuntamenti ricorrenti come quelli della festa dell' Immacolata, quando alla tradizionale preghiera in piazza di Spagna non manca mai di aggiungere una sosta nella vicina basilica di Santa Maria Maggiore, o come quello del Corpus Domini, quando la basilica liberiana diventa la meta della processione eucaristica che parte dalla cattedrale di San Giovanni in Laterano.
Domenica il Papa tornerà a pregare davanti all' icona originale dopo la parentesi di circa cinque mesi dovuta ai lavori di restauro eseguiti dal laboratorio dei Musei Vaticani e resisi necessari per far recuperare alla tavola il fascino dei colori originali. E Francesco troverà anche una nuova luce a Santa Maria Maggiore: venerdì 19, infatti, Juan Carlos di Borbone e la consorte Sofía, già reali di Spagna, hanno inaugurato la nuova illuminazione a led che permetterà un risparmio energetico di circa l' 80 per cento. Nell' occasione, Juan Carlos ha sottolineato i personali legami con la città di Roma, dove è nato ottant' anni fa («sono un vero romano di Roma» ha detto) e dove è stato battezzato dal cardinale Eugenio Pacelli. E ha ricordato i vincoli tradizionali tra la basilica liberiana e la corona spagnola, per i quali il sovrano del paese è insignito del titolo di protocanonico onorario. Un rapporto privilegiato che risale al Seicento e che venne confermato, nel 1953, proprio da Pio XII con la bolla Hispaniarum fidelitas.
Il legame della sacra immagine della Salus populi Romani con la città e, in particolare, con i suoi vescovi, affonda le radici nei secoli. A essa sono legati eventi miracolosi e tradizioni depositate nel cuore dei fedeli. Il popolo di Roma e il Papa hanno costantemente fatto riferimento alla Vergine in occasione degli eventi più importanti della vita della Chiesa e di quella civile, e anche per chiedere aiuto di fronte a pestilenze, calamità naturali o guerre. Spesso l' icona veniva portata per le vie della città. Come nel 1835 quando Gregorio XVI pregò la Madonna di preservare Roma dal flagello del colera. Ne dà testimonianza Giuseppe Gioachino Belli in un sonetto in cui descrive una tormentata processione segnata da una pioggia sferzante: «Che priscissione! Oh Dio, stateve quieti / ch' io vorze annacce pe li mi' peccati! / Vennero tre ddiluvî scatenati / da intontì li padriarchi e li profeti. / Li preti nun pareveno ppiù preti, / li frati nun pareveno ppiù frati, / ma ppanni stesi, purcini abbagnati».
In tempi più recenti, nel 1931, in occasione del quindicesimo centenario del concilio di Efeso, Pio XI indisse a Roma uno speciale congresso mariano proprio per onorare solennemente la Salus populi Romani. Immagine che fu particolarmente cara anche a Pio XII, una devozione dimostrata soprattutto in due significative occasioni: nel 1950, in occasione della proclamazione del dogma dell' Assunzione, e poi nel 1954, quando indisse un anno mariano e, con l' enciclica Ad caeli regina, proclamò la regalità della Madonna. Al termine dell' anno mariano, Papa Pacelli fissò la festa di Maria Regina il 31 maggio (in seguito fu spostata al 22 agosto) e portò la Salus populi Romani a San Pietro per incoronarla solennemente.
L' 8 dicembre 1978, giorno in cui per la prima volta Giovanni Paolo II si recò a Santa Maria Maggiore, nell' omelia ricordò come Paolo VI, il 21 novembre 1964, avesse invitato i padri conciliari a recarsi «nel più venerato tempio mariano di Roma per esprimere la gioia e la gratitudine» per la proclamazione della costituzione dogmatica Lumen gentium. E fu proprio il santo Pontefice polacco ad affidare, nel 2000, l' icona ai giovani in occasione della giornata mondiale della gioventù. E a partire da quella di Colonia, celebrata da Benedetto XVI nel 2005, tutti i successivi appuntamenti hanno visto portare in pellegrinaggio per il mondo, insieme alla croce, una copia della popolare immagine mariana.