Il terremoto non ha l’ultima parola. Nemmeno le distruzioni provocate dall’odio e dalla mano dell’uomo ce l’hanno. Anche un tempio diroccato o pieno di rovine come quello di Palmira, in Siria — fatto saltare in aria dai miliziani dell’Isis — o le case collassate per la violenza della natura possono trasformarsi in motivo di speranza.
A partire da questa riflessione, tre amici originari di Tolentino hanno allestito il presepe esposto quest’anno nella pontificia parrocchia di Sant’Anna in Vaticano. Dai fatti di cronaca hanno trovato ispirazione per la rappresentazione del Natale. Ma per loro la più grande sorpresa è stata che proprio in questa ispirazione hanno trovato una spinta per andare avanti, per convincersi che la vita continua. Hanno vinto la paura e tirato fuori la determinazione. Il presepe si è trasformato così in un “antidoto” contro la tragica realtà quotidiana, a cominciare da quella del terremoto.
In quella notte di quattro mesi fa il mondo sembrava crollare loro addosso, raccontano Mariano Piampiani, Alberto Taborro e Sandro Brillarelli. Stavano già preparando le varie scene del presepe, quando le scosse del 24 agosto hanno sconvolto i loro piani. Sono stati costretti a sospendere la lavorazione, perché i locali che li ospitavano erano rimasti danneggiati. Ecco perché hanno sentito il bisogno di esprimere il dramma che stavano vivendo attraverso l’immagine delle rocce e delle pietre ammassate alla rinfusa alla base di qualche colonna del tempio rimasto in piedi dopo la distruzione.
Questa scena trasmette il sapore dell’amarezza che hanno provato, ma accanto a questa desolazione si proietta la luce del Bambinello che viene a illuminare le notti dell’umanità.
In particolare, i tre volontari hanno preso ispirazione dal Vangelo di Matteo del ciclo liturgico dell’anno A per realizzare la scena principale. Al centro si erge il tempio, realizzato riciclando materiali usati nelle passate edizioni del presepe in Sant’Anna. Sullo sfondo azzurro, a destra si nota una cascata di acqua circondata da palme, mentre a sinistra si intravedono in lontananza le costruzioni dell’antica Gerusalemme, dove è stato messo in risalto il tempio con il Sancta Sanctorum. In primo piano è collocata la scena dell’apparizione degli angeli ai pastori.
Il materiale principale adoperato è il polistirene in fogli dello spessore di due centimetri. Si tratta di un polistirolo compatto che viene sagomato con dei trincetti. I tre artisti ne hanno ricavato dei tasselli, assemblati con la schiuma poliuretanica usata per gli infissi, che in venti minuti si solidifica. Con questa stessa tecnica hanno realizzato il deserto. Per riprodurre il mare hanno scelto un rullo che offre l’effetto ottico attraverso un vetro. Per le palme hanno usato carta gommata e fil di ferro. Poi hanno disseminato la scena con delle piantine grasse. I personaggi sono realizzati a mano, con abiti di stoffa inamidati. Ci sono anche due cammelli che si muovono durante la fase del giorno: uno china il capo e l’altro muove la bocca ruminando. Per le stelle hanno usato fibre ottiche controllate da una centralina elettronica.
I tre condividono la stessa passione per il presepe, unita a un’esperienza acquisita sul campo con il trascorrere di ore e ore a sistemare i vari incastri. Con pazienza e accortezza modellano i particolari, che una volta composti insieme formano le scene delle rappresentazioni natalizie. Mariano è un tecnico telefonico, Alberto un pittore decoratore, Sandro un pensionato, ex pellettiere che produceva scarpe a mano.
Il terremoto ha colpito anche loro: Mariano e Sandro indirettamente, mentre Alberto non ha più una casa agibile ed è costretto a dormire in un camper. I tre raccontano che dei circa ventimila abitanti di Tolentino solo la metà sono rimasti in città, mentre gli altri sono sfollati nelle strutture della costa marchigiana. Anche chi non ha avuto danni è stato colpito, perché il tessuto sociale è cambiato radicalmente. La gente non si incontra più, non ci sono più punti di ritrovo e gli anziani sono costretti a rimanere a casa da soli. Le strutture industriali fortunatamente hanno retto, quindi il lavoro va avanti. Il problema è che chi sta sulla costa deve recarsi tutti i giorni a Tolentino per lavorare.
La più grande tristezza però, confidano, è la situazione della basilica di San Nicola che attualmente è chiusa. La facciata è puntellata per pericolo di crolli e distacchi di marmi. All’interno ci sono lesioni tra il soffitto a cassettoni e il presbiterio e la parte dell’altare del Santissimo Sacramento. Per quanto riguarda la zona conventuale, pur non essendoci stati grandi danni, non è garantita la sicurezza, per cui i padri agostiniani vivono in due moduli abitativi. Della gloriosa basilica non resta agibile che il cortile dove si trova un tendone allestito per il giubileo del 2000. Viene riscaldato con una stufa a gas e qui viene celebrata la messa. L’urna del santo è stata portata nel locale do- ve di solito viene allestito il presepe. Per Tolentino san Nicola è un simbolo.
(Nicola Gori)
L'Osservatore Romano, 24 dicembre 2016