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Informazioni e aggiornamenti dalla Parrocchia e dalla Chiesa

La comunità agostiniana di Sant’Anna invita alla lettura del commento ai Salmi di S. Agostino.

Questo tipo di omelia il più caratteristico del vescovo africano può essere assimilato ad un brano di musica ampiamente sviluppato nella sua linea melodica fondamentale.

Chiesa di Sant'Anna
, 08/10/2015

Di recente nell’ambito della storia dell’antico cristianesimo si sono avuti in Italia due eventi importanti, di fatto indipendenti uno dall’altro ma uno con l’altro strettamente collegati sotto il profilo letterario e culturale: Lorenzo Perrone ha pubblicato l’edizione critica di un gruppo di omelie di Origene sui Salmi recentemente scoperte nel codice Monacensis Graecus 314, e Franco Gori ha pubblicato il quinto e ultimo volume dell’edizione critica delle Enarrationes in psalmos 101-150 di Agostino. Origene e Agostino furono di gran lunga, in antico, le personalità più importanti e rappresentative delle lettere cristiane, e ambedue attesero con impegno all’interpretazione dei Salmi. A tal proposito ricordo che i Salmi furono allora il testo più conosciuto e letto di tutta la Sacra Scrittura: Giovanni Crisostomo aveva conosciuto alcuni fedeli che non avevano letto i vangeli, ma conoscevano a memoria i Salmi perché abitualmente li cantavano in chiesa. Per questo motivo nessun libro della Scrittura fu allora più studiato e interpretato, e le interpretazioni di Origene e di Agostino hanno condizionato tutta la successiva esegesi sia in oriente sia in occidente. Qualche tempo fa ho avuto occasione di scrivere su queste pagine in merito al volume origeniano, e oggi mi dedico all’altra edizione.

Agostino ebbe carissimi i Salmi, che conosceva a memoria e che impregnarono del loro caratteristico stile il suo stesso modo di scrivere, e predicò su di essi con particolare impegno, non soltanto durante la liturgia domenicale ma anche infrasettimanalmente, e integrò il di per sé cospicuo numero dei testi predicati con altri da lui composti con destinazione alla sola lettura. Per certo non seguì, nel predicare, un ordine prestabilito, e di vari salmi conosciamo più di una interpretazione omiletica; ma col trascorrere degli anni ebbe occasione di interpretarli pressoché tutti, sì che verso la fine della vita decise di completare l’interpretazione dell’intero Salterio, scrisse l’interpretazione del lunghissimo salmo 118, sul quale non aveva mai predicato, ripartendola in trentadue testi, e curò egli stesso la pubblicazione dell’intera raccolta, che conosciamo col nome di Enarrationes in psalmos, titolo non originario, che compare per la prima volta in epigrafe all’edizione (1529) di Erasmo.

Sempre e dovunque componente integrante di ogni predica è la parenesi volta all’edificazione e al profitto morale degli ascoltatori, ed essa è ben rappresentata nelle omelie sui Salmi di Agostino, ma non tanto da nuocere alla componente specificamente esegetica. Origene aveva generalizzato un tipo di omelia esegetica che, esemplandosi sul commentario, contemplava il frazionamento del testo biblico previamente letto in pubblico in lemmi di breve lunghezza, seguiti ognuno dalla relativa interpretazione. Anche Agostino si è uniformato a questo schema ma, al fine di non sacrificare la parenesi, l’ha parzialmente modificato, nel senso di far precedere l’interpretazione analitica del testo del salmo lemma per lemma da una vistosa parte iniziale nella quale fissa e sviluppa un tema di carattere generale, e scelto in modo da incidere fortemente sulla sensibilità degli ascoltatori. Il pericolo di uno stacco troppo netto tra le due parti dell’omelia è evitato dalla perizia con cui Agostino, retore nato, le sa collegare tematicamente. Se ci possiamo permettere un paragone musicale, questo tipo di omelia, non l’unico ma per certo il più caratteristico di Agostino, può essere assimilato a un brano di musica, composto da un tema iniziale ampiamente sviluppato nella sua linea melodica fondamentale, che poi continua in una serie di variazioni ognuna di ben più breve estensione. La ripetizione insistita e martellante di ogni singolo lemma del salmo nel corso della relativa spiegazione, che può sconcertare il lettore moderno, e il ritorno di alcuni di essi per tutto il corso dell’omelia rilevano la compattezza del discorso e richiamano l’attenzione degli ascoltatori sul tema di fondo, facilitandone la comprensione.

L’antico esegeta cristiano, quando interpretava un testo dell’Antico Testamento, mirava a mettervi in evidenza la presenza di Cristo e della Chiesa, il che imponeva più che spesso l’applicazione dell’interpretazione allegorica; e nelle Enarrationes (En. ps.) agostiniane l’allegorizzazione del testo è frequente, anche molto al di là del riferimento cristologico, accompagnandosi all’interpretazione letterale: per esempio, il giorno e la notte del salmo 41, 4, dopo essere stati interpretati in senso letterale, sono assunti a simboli della prosperità e dell’avversità della nostra vita (En. ps. 41, 6). Il mare, richiamato tante volte nel testo biblico, è apprezzato sempre negativamente: «indica simbolicamente questo mondo, amaro per la salsedine, violento per le tempeste, dove gli uomini, pervertiti e deformati dalla cupidigia, sono diventati come pesci che si divorano l’un altro» (En. ps. 64, 9). La tavola di legno, che dà speranza di salvezza a chi è travolto dal naufragio, significa la croce salvifica di Cristo (En. ps. 51, 11). Il torrente di ps. 109, 7 è assunto a simbolo del fluire della vita mortale, dove gli uomini «vengono passano vanno via (succedunt accedunt decedunt), senza potersi fermare» (En. ps. 109, 20).

Ovviamente non possiamo neppure accennare alla ricchezza di temi di ogni genere esposti nelle Enarrationes, e ci limitiamo a richiamare l’atteggiamento mentale che caratterizza ogni aspetto della riflessione agostiniana, quello dell’interiorità, che è dire: il richiamo alla luce interiore, a conoscere Dio nel ripiegarci su noi stessi, allo scrutare la propria coscienza come momento essenziale del faticoso progresso nella vita spirituale. Non sorprende quindi la frequenza con cui ricorre sulla bocca di Agostino il termine strepitus: è il turbine della vita mondana, in ciò che esso presenta di alienante e, insieme, di attraente, che col suo rumore distoglie dalla pace e dal ripiegamento interiore. Il senso di Dio in noi è come una dolce eco della musica divina che risuona sempre in cielo, e che noi possiamo percepire solo se non siamo disturbati dallo strepito del mondo (En. ps. 41, 9).

Il grande tema delle due città, la celeste e la terrena, trattato teoreticamente nel De civitate Dei, è presente nelle Enarrationes, proposto negli aspetti esistenzialmente più significativi: la mescolanza tra loro dei cittadini di Babilonia e di Gerusalemme, gli uni che soffrono gli altri in mezzo ai quali quelli soffrono, gli uni che pensano al cielo gli altri alla terra; la prigionia a Babilonia del cittadino di Gerusalemme, che si trova immerso nella realtà labile e transitoria del mondo. A questo cittadino, che è dire alla povera gente che lo ascolta e ogni giorno è alle prese con la durezza della vita e la sopraffazione dei potenti, Agostino non può proporre che la speranza della futura pace che li attende a Gerusalemme.

Le Enarrationes furono, insieme con le Confessiones, l’opera di Agostino più letta nel corso dei secoli, e per oltre un millennio sono stati in occidente il testo fondamentale per l’utilizzazione liturgica e l’interpretazione dei Salmi. Ciò spiega il grandissimo numero di manoscritti che ce le hanno tramandate, circa quattrocento, che contengono l’opera sia completa, sia — più spesso — frammentaria. Questa circostanza, sommandosi con l’inusitata lunghezza dell’opera, ha fatto sì che fino a pochi anni fa si era privi di una moderna edizione critica, ed edizione di base restava, e — come vedremo — resta tuttora per buona parte dell’opera, quella dei maurini (Parigi 1681), confluita nella Patrologia latina del Migne, sufficiente per i suoi tempi ma certamente non per le esigenze della moderna filologia, e la ben più recente edizione (1956) di Eligius Dekkers e Johannes Fraipont per il «Corpus Christianorum» (38-40), che voleva essere una revisione critica del testo maurino, è risultata non meno insufficiente.

Di fronte a questo stato di cose l’Accademia delle Scienze di Vienna, editrice dello Csel, il «Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum», nel quale già svariate opere agostiniane erano state edite criticamente, ha avvertito l’esigenza di mettere in piedi l’organizzazione per una edizione critica delle Enarrationes nel senso più stretto del termine. Parlo addirittura di organizzazione, in quanto ampiezza della tradizione manoscritta e lunghezza dell’opera escludono che l’onere dell’edizione possa essere affidato a una sola persona e impongono un lavoro di équipe. Per questo l’accademia viennese, nella persona soprattutto di Adolf Primmer, nel 1995 entrò in contatto con l’istituto Augustinianum di Roma per mettere in piedi un congiunto gruppo di lavoro. A seguito di laboriosi pourparler si decise di frazionare l’opera in tre parti, Enarrationes sui salmi 1-50; 51-100; 101-150, affidati per il lavoro di edizione a tre équipe diverse: accantonata per il momento la prima parte, poi affidata a Clemens Weidmann, la seconda fu assegnata a Primmer e ai suoi collaboratori, e la terza a Franco Gori, anch’egli coadiuvato da alcuni collaboratori.

Per l’effettivo espletamento del lavoro, le Enarrationes sui salmi 101-150 furono divise ulteriormente in cinque parti, tre delle quali affidate a Gori, coadiuvato da alcune allieve, e le altre due ad altri studiosi. Non potendo qui dilungarmi troppo, mi limito a rilevare, da una parte, la discrasia di carattere scientifico che subito si evidenziò tra i viennesi, adusi per lunga tradizione a intervenire sugli antichi testi per correggere errori e sviste spesse volte del tutto inesistenti, e gli italiani, rappresentati da Gori, molto più rispettosi del testo trasmesso quale è giunto a noi; dall’altra una serie di inconvenienti vari, tra i quali la prematura morte di Primmer, che di fatto ha paralizzato l’attività dell’équipe viennese, e quanto all’équipe italiana, lo spontaneo ritiro di svariati collaboratori, sì che gradatamente tutto il lavoro d’edizione si è concentrato su Gori, solo saltuariamente e marginalmente coadiuvato da qualche collaboratore.

Franco Gori, docente di letteratura cristiana antica nell’università di Urbino, filologicamente formato alla esigente scuola di Cesare Questa, editore dei Commentari di Mario Vittorino ad alcune lettere di Paolo e del cosiddetto Praedestinatus, scientificamente preparato e dotato di non comune capacità di lavoro, era la persona più indicata per affrontare una fatica che già all’inizio si prospettava lunga e difficile, e ancor più lunga e difficile si è poi rilevata a causa del vanificarsi dei collaboratori. Tra il 2001 e il 2015 Gori ha pubblicato, in ordine sparso, l’edizione critica delle Enarrationes relative ai salmi 101-150, ripartita in cinque volumi, dedicati rispettivamente ai salmi 119-133 (2001), 134-140 (2002), 141-150 (2005), 101-109 (2011), 110-118 (2015). Nello stesso tempo, quanto alla seconda cinquantina dei salmi è stato pubblicato soltanto un volume, a cura di Hildegund Müller; quanto alla prima due volumi a opera di Weidmann.

Non è in questa sede che possiamo dilungarci in osservazioni troppo tecniche. Mi limito a rilevare che la tradizione manoscritta di testi pronunciati prima di essere messi per scritto, quali appunto le Enarrationes predicate, presenta caratteri propri che la rendono particolarmente complicata. In primo luogo, quanto alla forma espressiva, il dicitore, nel parlare, per forza di cose incorre in anacoluti e altre imperfezioni linguistiche che, nella trasmissione manoscritta del testo, invitavano il lettore colto a correggere eliminando la vera o presunta anomalia. In secondo luogo, per quanto attiene specificamente alle Enarrationes, ho detto sopra che Agostino stesso curò la pubblicazione unitaria di tutte, sia predicate sia soltanto scritte. Quelle predicate venivano messe per scritto dai tachigrafi durante la predicazione e passate subito dopo in bella copia, sì che erano state conosciute, nell’ambiente di Agostino, a mano a mano che venivano trascritte, e alcune di esse hanno avuto una certa diffusione indipendente da quella dell’opera intera; in tal modo complicavano la tradizione manoscritta, già soggetta, per parte sua, sia agli interventi correttivi di cui sopra, sia a quelli sollecitati dall’eventuale confronto e controllo, eseguito da qualche lettore diligente che aveva a disposizione un altro o più altri esemplari dello stesso testo.

In complesso una tradizione ampia e ingarbugliata, tale da mettere a dura prova ogni buon filologo, e Gori si è rivelato non impari alla dura prova. Fondata la sua analisi della tradizione manoscritta su una scelta di codici sufficientemente ampia e affidabile, ha districato le complesse fila dei loro reciproci rapporti, verticali e orizzontali, ha scelto con competenza e senza condizionamenti pregiudiziali nel caso di varianti concorrenti per una stessa lezione, sì da darci finalmente un’adeguata edizione critica per le Enarrationes relative ai salmi 101-150, un risultato che ancora qualche anno fa sembrava soltanto utopico e che fa onore alla filologia italiana. Per chiudere, lasciamo la parola all’editore in merito ai rapporti tra testo pronunciato e testo scritto, che è l’aspetto più problematico che presenta la tradizione: «Di questi caratteri (cioè, del testo pronunciato) l’editore deve essere continuamente consapevole per comprendere i caratteri originali del testo, e non scambiarli per corruttele da emendare, e anche per prendere atto talora che il trasferimento dalla originaria forma orale improvvisata alla scrittura, senza adattamento alcuno alla lettura privata, ha indebolito quella perspicuitas dicendi e suavitas dictionis che questi sermoni dovevano avere per il pubblico, che accorreva numeroso ad ascoltare il vescovo di Ippona». (Manlio Simonetti) Osservatore Romano 8 Ottobre 2015