“tanto contenta di mirar sua figlia,/ che non move occhio per cantare osanna”.
Cari fratelli e sorelle, la liturgia di tutte le Chiese, orientali e occidentali, celebra già dai primi secoli la memoria dei santi Gioacchino e Anna. La celebriamo anche noi, con particolare solennità, in questa pontificia parrocchia che porta il nome di Sant’Anna. Sono lieto di essere con voi in questa bella circostanza, vi saluto tutti con affetto fraterno e ringrazio il Parroco, P. Bruno Silvestrini, e i confratelli agostiniani per l’invito rivoltomi. Ai santi Gioacchino ed Anna dobbiamo una particolare gratitudine, come ci ricorda san Giovanni Damasceno nel brano che oggi leggiamo nel Breviario: “O felice coppia, Gioacchino ad Anna! A voi è debitrice ogni creatura, perché per voi la creatura ha offerto al Creatore il dono più gradito, ossia quella casta madre, che sola era degna del Creatore”. Ecco, dunque, la ragione di tanta riconoscenza: Gioacchino ed Anna sono i genitori della Vergine Madre di Dio. Così diceva Papa Francesco esattamente un anno fa, il 26 luglio 2013, mentre si trovava a Rio de Janeiro per la Giornata Mondiale della Gioventù: “Nella loro casa è venuta al mondo Maria, portando con sé quello straordinario mistero dell'Immacolata Concezione; nella loro casa è cresciuta accompagnata dal loro amore e dalla loro fede; nella loro casa ha imparato ad ascoltare il Signore e a seguire la sua volontà. I santi Gioacchino ed Anna fanno parte di una lunga catena che ha trasmesso la fede e l’amore per Dio, nel calore della famiglia, fino a Maria che ha accolto nel suo grembo il Figlio di Dio e lo ha donato al mondo, lo ha donato a noi”. Noi tutti abbiamo avuto, e forse abbiamo ancora sulla terra a nostro caro conforto, genitori e nonni: e una casa è bella e vivace quando in essa convivono, in affettuosa concordia, , vecchi, giovani e ragazzi, il tramonto e l’alba, a rinnovare il meraviglioso evento della vita terrena e la speranza della vita eterna. Papa Francesco, nell’occasione appena citata, commentava: “ll valore prezioso della famiglia come luogo privilegiato per trasmettere la fede! Guardando all’ambiante familiare vorrei sottolineare una cosa: … Quanto sono importanti (i nonni) nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società! E come è importante l'incontro e il dialogo tra le generazioni, soprattutto all'interno della famiglia. Il Documento di Aparecida ce lo ricorda: «I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita» (n. 447)”. La famiglia dei genitori di Maria richiama alla nostra sensibilità spirituale il modello di una famiglia singolarmente santa, quale, e più, sarebbe poi stata quella di Maria e di Giuseppe con al centro Gesù. Preghiamo, allora, per le nostre famiglie, per tutte le famiglie, specialmente in questo tempo nel quale la Chiesa, con la celebrazione consecutiva di due Sinodi dei Vescovi quest’anno e l’anno prossimo, la mette nuovamente al centro della sua attenzione, del suo affetto, delle sue cure pastorali! Così leggiamo nella premessa dell’instrumentum laboris del prossimo Sinodo: “L’annuncio del Vangelo della famiglia è parte integrante della missione della Chiesa, poiché la rivelazione di Dio illumina la realtà del rapporto tra l’uomo e la donna, del loro amore e della fecondità della loro relazione. Nel tempo odierno, la diffusa crisi culturale, sociale e spirituale costituisce una sfida per l’evangelizzazione della famiglia, nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale”. Oggi, tuttavia, la Chiesa, celebrando Gioacchino e Anna, non propone semplicemente una famiglia degna di venerazione in quanto legata in modo particolarissimo a Maria e a Gesù. L’intenzione della Chiesa è più profonda e merita un’attenta riflessione. Gioacchino e Anna sono celebrati perché sono inseriti a pieno titolo nella corrente di fede dell’antico Israele, dei padri del popolo della prima elezione, “Abramo e la sua discendenza” (Lc 1,54s.), ai quali il Signore promise e affidò la salvezza e la speranza che giunge alle soglie di quella definitiva che il Signore ha stretto con l’umanità mediante il suo Figlio Gesù. Questa alleanza definitiva ha avuto inizio con l’incarnazione del Figlio di Dio, che è entrato nella storia assumendo la natura nella stirpe d’ Israele, Figlio di Maria secondo la carne e Figlio di Dio per la natura divina. Strumento volontario dell’incarnazione fu Maria, preservata a motivo di tale sublime ufficio da ogni colpa originale e personale. E Maria fu Figlia di Gioacchino e Anna che sono stati pertanto direttamente associati all’esistenza temporale del Figlio di Dio. A questo prodigio, unico nei secoli, alludono le sacre letture che la Chiesa ha proclamato in questa liturgia. Il brano del Vangelo (Mt 13,16s.) riporta un discorso nel quale Gesù si auto presenta come il compimento della speranza dei padri, dei profeti e dei giusti di Israele e loro “consolazione” (Lc 2,25). Gioacchino e Anna sono del loro numero. Si è così realizzata la profezia del Siracide che glorifica “gli uomini illustri”, nella cui “discendenza” sarebbe apparsa “una preziosa eredità” (Sir 44,9 e 11). Particolare attenzione merita il Salmo responsoriale (Sal 131). Nella millenaria tradizione che va da Abramo a Mosè, da Davide a Gesù, il Signore si è dimostrato fedele alla sua promessa. Aveva scelto come sua dimora Gerusalemme: “Questo è il mio riposo per sempre: qui abiterò, perché l’ho desiderato”. La promessa, inizialmente identificata con la Gerusalemme terrena e storica, guardava profeticamente oltre i confini della città prediletta e ha trovato la sua realizzazione perfetta in quell’ “Israele di Dio” (Gal 6,16), come l’ha chiamato l’apostolo Paolo, ossia la vera Gerusalemme che è la Chiesa. Così la vicenda umana di Gioacchino e Anna, con il suo compito de preparazione storica all’incarnazione del Salvatore nel seno di Maria loro Figlia, si configura come evento intimamente collegato a quella Chiesa che Cristo stesso ha fondato, luogo permanente della fedeltà di Dio al suo popolo. Preghiamo allora per la Chiesa, nostra madre. Riprendo anche qui alcune espressioni di Papa Francesco nella catechesi dell’11 settembre 2013: “Tra le immagini che il Concilio Vaticano II ha scelto per farci capire meglio la natura della Chiesa, c’è quella della "madre": la Chiesa è nostra madre nella fede, nella vita soprannaturale (cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, 6.14.15.41.42). E’ una delle immagini più usate dai Padri della Chiesa nei primi secoli e penso possa essere utile anche per noi. Per me è una delle immagini più belle della Chiesa: la Chiesa madre!”. E il Papa, in quell’udienza, traeva le seguenti conclusioni, diciamo così, operative: “Nei primi secoli della Chiesa, era ben chiara una realtà: la Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre "fa" i cristiani, è anche "fatta" da essi. La Chiesa non è qualcosa di diverso da noi stessi, ma va vista come la totalità dei credenti, come il «noi» dei cristiani: io, tu, tutti noi siamo parte della Chiesa. San Girolamo scriveva: «La Chiesa di Cristo altra cosa non è se non le anime di coloro che credono in Cristo» (Tract. Ps 86: PL26,1084). Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. A volte sento: "Io credo in Dio ma non nella Chiesa…Ho sentito che la Chiesa dice…i preti dicono...". Ma una cosa sono i preti, ma la Chiesa non è formata solo dai preti, la Chiesa siamo tutti! E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso; e questo è una contraddizione. La Chiesa siamo tutti: dal bambino recentemente battezzato fino ai Vescovi, al Papa; tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio! Tutti siamo chiamati a collaborare alla nascita alla fede di nuovi cristiani, tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo. Ciascuno di noi si chieda: che cosa faccio io perché altri possano condividere la fede cristiana? Sono fecondo nella mia fede o sono chiuso? Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra. Evviva la santa madre Chiesa!”. Guardiamo ora specialmente a Sant’Anna, a cui è dedicata questa chiesa e questa parrocchia. Lungo i secoli, Anna è rimasta personaggio vivo, oggetto di profonda e diffusa devozione all’interno del popolo cristiano. Così profonda e così diffusa da aver suggerito una delicata intuizione al massimo poeta cattolico. Nella terzo cantico della Commedia (32,133-135), infatti, Dante Alighieri ha immortalato Anna che, in Paradiso, è “tanto contenta di mirar sua figlia, /che non move occhio per cantare osanna”. Per tutta l’eternità, Anna fissa amorosamente il volto di sua Figlia, nello stesso tempo che canta con gli altri santi le lodi del Signore. In due soli versi, un quadro di doppia estasi, materna e teologale, di sguardo e di voce, su Cristo e su Maria, che di rimando ci invita a contemplare, a nostra volta, Gesù mentre veneriamo la Vergine madre e i suoi santi genitori. E così sia. Parrocchia di S. Anna, Vaticano - 26 luglio 2014