COME UN SEMPLICE PARROCO
Festa grande domenica scorsa per la parrocchia di Sant’Anna in Vaticano. Papa Francesco ha infatti voluto celebrare la sua prima messa pubblica con i suoi fedeli e ha dato loro appuntamento per le 10. Già di per sé cosmopolita, domenica la parrocchia in verità ha conosciuto tanti nuovi improvvisati “parrocchiani”. Difficile non consentire l’ingresso agli sconosciuti se a invitarli era stato il “parroco Francesco” in persona, sabato sera, telefonando loro con il cellulare. E a vedere il calore con il quale il Papa ha poi salutato uno a uno i suoi ospiti, c’è da credere che ci sia ben più che la semplice conoscenza a legarli. Ma il Pontefice non si è negato certo ai suoi parrocchiani: appena arrivato davanti alla chiesa — mancavano pochi minuti alle 10 — si è diretto a passo veloce verso le transenne e ha cominciato a stringere mani, a carezzare bambini, a benedire fotografie e oggetti personali, a rispondere alle domande. Poi gli è stato ricordato che bisognava celebrare la messa; allora si è rivolto a quanti tendevano la mano oltre le transenne e ha detto: «Scusatemi, ma devo celebrare la messa. La chiesa è piccola e non può accogliervi tutti. Ma aspettatemi, poi torno da voi». Ma passando davanti a Porta Sant’Anna — l’ingresso della Città del Vaticano che si apre proprio sulla parrocchia — si è girato per salutare la piccola folla che si era accalcata all’esterno, e ha riconosciuto, tra tutti, un giovane sacerdote. È rimasto visibilmente sorpreso da quella presenza e ha chiesto alla Gendarmeria vaticana di farlo entrare. Quando poi se lo è trovato inginocchiato davanti, lo ha sollevato e lo ha abbracciato con affetto. Si tratta di don Gonzalo Aemilius, sacerdote uruguayano di trentatré anni, che a Montevideo si dedica ai ragazzi di strada. Quindi la messa. Era quella propria dei bambini come generalmente avviene in tutte le parrocchie. A Sant’Anna erano in prima fila e costituivano la parte forte del coro che ha sottolineato ogni momento della concelebrazione, presieduta dal Pontefice con i cardinali Angelo Comastri, suo vicario generale per la Città del Vaticano, e Prosper Grech, agostiniano, e con il padre Bruno Silvestrini, «l’umile parroco» come si è presentato. In prima fila c’erano anche il vescovo Joaquín Mariano Sucunza, ausiliare e vicario generale di Buenos Aires, con alcuni sacerdoti.
Poche parole ma certamente capaci di trasmettere l’essenzialità del messaggio cristiano. Accostatosi al leggio, Papa Francesco ha commentato le letture della messa. Cinque, forse sei minuti, ma nella gente che lo ha ascoltato è rimasto chiaro quello che lui voleva restasse impresso nei suoi parrocchiani: «Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono».
Terminata la messa, con ancora i paramenti della celebrazione, Papa Francesco era sceso in mezzo alla strada, davanti alla chiesa, a salutare, uno a uno, tutti i parrocchiani che lentamente uscivano. Così per oltre venti minuti. Poi attirato dalle acclamazioni della folla ancora accalcata appena fuori dal Vaticano, non ha resistito e seppur costretto a fare lo slalom tra Gendarmi, Guardie Svizzere e inservienti vari, sorpresi anche loro dall’improvvisa decisione, si è accostato a quelle precarie transenne che a stento trattenevano la folla e ha dispensato strette di mano, carezze, saluti a quanti hanno avuto la fortuna di conquistare la prima fila. E c’è da credere che se non fosse mancata una manciata di minuti all’appuntamento con le centinaia di migliaia di persone che gremivano Piazza San Pietro e tutta via della Conciliazione e dintorni in attesa dell’Angelus, difficilmente sarebbe salito a bordo della Volkswagen Phaeton nera che lo attendeva da tempo con il motore acceso. Poco prima, al termine della messa, il Papa era stato salutato dal cardinale Comastri e dal parroco. «Padre Santo, il mondo aspetta il profumo di Betlemme, il profumo di Vangelo. Riempia la Chiesa del profumo del Vangelo che è il profumo di Gesù. La seguiremo» ha detto il porporato. Riferendosi poi al nome scelto, ha ricordato che «non era mai accaduto che un Papa si chiamasse Francesco». Quindi ha ricordato il momento in cui Papa Bergoglio si è affacciato per il primo saluto e in particolare quel silenzio che ha avvolto improvvisamente la piazza: «i cardinali presenti — ha detto — non ne avevano capito il motivo». Così «quando sono uscito — ha spiegato — l’ho chiesto al primo che ho trovato» e «mi hanno detto che “il Papa si è inchinato per ricevere la preghiera della gente”. Poi il mio informatore ha aggiunto: “Ho sentito il profumo di Betlemme, il profumo del Vangelo”. E due lacrime sono scese anche nei miei occhi». In precedenza anche il parroco di Sant’Anna, l’agostiniano Bruno Silvestrini, aveva salutato Papa Francesco. «Il nostro cammino, in questi ultimi giorni, è stato — ha detto — quello dei due discepoli di Emmaus: inizialmente, con il volto triste per la rinunzia di Benedetto XVI. I nostri occhi erano impediti a riconoscere Gesù che camminava con noi, anche se nella preghiera per implorare un Papa secondo il desiderio di Dio sentivamo ardere il cuore. Poi i nostri occhi si sono aperti e abbiamo riconosciuto il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro». Per questo «ora che i nostri occhi hanno visto, le nostre mani hanno toccato, le nostre orecchie hanno udito il vicario di Cristo, con rinnovato slancio possiamo dire al mondo, come i discepoli di Emmaus: “Davvero il Signore è risorto ed è riapparso alla Sua Chiesa nella persona di Papa Francesco” ».
Osservatore Romano 18/19 marzo 2013